Alberto P. Schieppati
Ci dobbiamo preoccupare di più della carne sintetica di pollo e di anatra (prodotta dalla Memphis, multinazionale americana del food) o dello sfascio sociale di casa nostra? Mah, direi che è una bella lotta…. O, forse, sono due facce della stessa medaglia. In un paese in cui sembrano prevalere bullismo, arroganza, esibizioni di muscoli, per strada e sui social (per non dire in politica), sarebbe ora di dire con forza: stop! Il bisogno di serietà e rigore, nonostante le apparenze, è molto forte e, in un certo senso, il nostro settore (nonostante tutto) riesce a rappresentare questi valori in modo egregio, direi esemplare. Sono tante le persone per bene che, ogni giorno, svolgono con intelligenza e passione il proprio mestiere. Ha ragione Gualtiero Marchesi quando dice che “l’esempio è la migliore forma di insegnamento”. Perché dunque ci sentiamo di dire che la ristorazione, quella fatta dai professionisti, è una cosa seria? Una sorta di benchmark al quale riferirsi e dal quale ripartire, insomma? Un esempio da imitare anche per altri settori che hanno, come dire, perso la bussola? La risposta è semplice: perché lavorare nella ristorazione obbliga a comportamenti adeguati, sobri, coerenti e concreti, supportati da un’etica che latita in molti altri ambiti della società contemporanea. Lavorare seriamente nella ristorazione significa: rispettare il cliente e pretenderne rispetto, essere responsabili nella selezione delle migliori materie prime (alla faccia delle polpettine ogm a base di carne finta, creata con cellule in coltura di animali pieni di antibiotici), avere a cuore la salute degli ospiti, applicare le tecniche di cottura ideali a valorizzare gli ingredienti, sentirsi impegnati a tempo pieno, costruire rigorosamente un food cost intelligente, selezionare i fornitori con attenzione, essere ambiziosi ma non presuntuosi e saccenti, essere orgogliosi di essere umili, senza mai montarsi la testa né inseguire facile celebrità mediatica. E ancora: dare valore al lavoro di squadra, liberarsi dall’ individualismo autoreferenziale, saper accogliere, senza eccesso di confidenza ma con educazione e rispetto. Se abbiamo piacere che il cliente abbia piacere, e trasformi il proprio piacere in desiderio di ritornare in quel luogo, o di segnalarlo come esperienza positiva, dobbiamo essere onesti e pretendere onestà. Ma anche saper trasmettere il valore di quel che facciamo, “importantizzando” il ruolo e l’immagine del ristoratore, o dello chef, al fine di rendere seria e statutaria la percezione del ruolo che occupa: non solo cuciniere ma educatore, selezionatore, trasmettitore di contenuti ecc. ecc… Invece, leggiamo (e ne siamo testimoni diretti) di false prenotazioni per cene al ristorante, con conseguente no show, di recensioni chiaramente inventate per mettere in difficoltà le gestioni, di stratagemmi atti a screditare alcuni o ad esaltare acriticamente altri, magari senza neppure aver visitato questo o quel ristorante. La cosa più grave è che in questa “società liquida”, dove la partecipazione sociale è sempre più bassa e la difesa istituzionale delle “categorie” sempre più flebile, tutto sembra essere lasciato al caso, o alle controversie legali, con relative parcelle da capogiro. Ma dov’è finita l’etica? Cultura e contenuti devono tornare ad essere protagonisti della crescita. Possibile che in nome della sopravvivenza (o della speranza di guadagno facile), siano in tanti disposti a lavorare male, senza guida e senza motivazioni, subendo il ricatto della necessità (la location vince su tutto, in barba alla qualità) e rinviando continuamente ogni possibilità di migliorare? Anche nel campo dell’informazione, il coraggio sembra essere ormai un valore spento, piegato agli interessi di questo o quel potentato, peraltro arrogante e irrispettoso verso chi vuole lavorare seriamente! Penso che l’Italia non cresca, non possa crescere, a fronte di questa situazione di immobilismo generale e di arroganza diffusa nella quale, per paura o ignoranza, si perseguono strade perdenti, autolesionistiche, non gratificanti. E il paese scivola verso il basso. E le frustrazioni si scaricano (e si evidenziano) nei comportamenti collettivi: maleducazione, corruzione, sopraffazione, libero arbitrio… No, così non va: la società prenda esempio da chi lavora, a livelli professionali, nella ristorazione e nell’ospitalità di alto profilo. La ristorazione, purché di qualità e ragionevole, è la base per la rinascita del Paese: impariamo dalle brigate di cucina impegnate 16 ore al giorno, dai camerieri che non hanno paura di lavorare, da quei cuochi appassionati che sanno di fare a meno della visibilità televisiva, ma che operano con serietà e costanza. E che hanno il coraggio di far vincere la qualità del lavoro, la soddisfazione del cliente e la propria. Valori che vanno perdendosi nella quotidianità e che sarebbe ora di recuperare e di trasmettere. Con la forza della passione, innanzitutto…